Esistono diversi artisti di un certo spessore il cui destino è segnato da una sola canzone. Tre – quattro minuti condannano una intera discografia a rimanere sepolta nell’oblio. Un profilo che ben si adatta ad Alan Sorrenti. Figli delle stelle, hit nazionalpopolare ha oscurato un disco molto interessante del calibro di Aria. Siamo agli inizi degli anni settanta, per la precisione 1972, ed il musicista metà partenopeo e metà gallese debutta con un lavoro che è rappresenta un unicum nel panorama del rock nostrano. Un personalissimo viaggio psichedelico alla riscoperta della Mediterraneità attraverso uno strumento quale la voce. Un modus operandi con pochi eguali, siamo dalle parti di Stratos, sebbene il greco cavalcava altre praterie. Alan Sorrenti dimostra in Aria di poter reggere il confronto conle avanguardie progressive europee più sperimentali. Bellissime le contaminazioni con il folk con soluzioni insolite più che indovinate, perla assoluta la partecipazione del leggendario violinista Ponty nella lunga suite di oltre venti minuti che dà il titolo al disco. Intimista e struggente la ballad Vorrei incontrarti, seducenti le sperimentazioni di un pezzo quale La mia mente dove si aggira alla percussioni un allora sconosciuto Tony Esposito. Una fiaba ed un incanto che durano un solo album. Un vero peccato che poi Sorrenti non sia ritornato più su quei livelli. Ma forse il fascino di un’epoca e di una esperienza irripetibile sta anche nel suo essere un unicum